Se con la Reggina, squadra che galleggia sopra la zona playout, ottieni un punto su sei disponibili tra andata e ritorno, significa solo che la tua stagione terminerà com’è iniziata, tra alti e bassi, tra resurrezioni (il partidazo a Catania) e anonimi scivoloni. Difficile coniugare volontà, inesperienza, difficoltà ad assorbire i dettami tattici di Don Tano, ancor più difficile sembrerebbe svoltare mentalmente quando una volta non ti riesce la giocata, una volta la mira va a farsi benedire, una volta (o forse molti di più) la panchina ha troppi sedili vuoti, vuoi per infortuni reali o artefatti dalla penna di un medico.
Settimana dopo settimana restiamo speranzosi di un cambio di rotta, di un reset che azzeri tutto e faccia ripartire l’ambiente.
Già, i campionati ed i loro destini, sono il frutto della sincronia di più attori, dalla tifoseria che deve sostenere con fede integralista la squadra, quest’ultima che deve pensare solo a buttare l’anima in campo secondo le istruzioni inderogabili dell’area tecnica fondamentale collante con la società che deve mostrare, a sua volta, il polso duro alla luce dei sacrifici economici fatti e dei contratti legalmente scritti.
La mancata convergenza dell’azione dei singoli, porta al paradosso che stiamo vivendo: un motore settato per dare il massimo, ma a cui una volta salta il cilindro, un’altra il pistone.
E se Dugandzic mette, finalmente, qualche cavallo in più nel motore, arriva la perdita d’olio su cui scivola la difesa (nomi non ne facciamo).
Compito degli ingegneri della macchina (e non dei tifosi) è comprendere il perchè nel primo tempo si facevano giri di pista ad ottimo ritmo, mentre nel secondo l’usura delle componenti faceva perdere costantemente posizioni.
Sono troppi i giocatori sotto tono, sono troppi i giocatori alla deriva, sono pochi i giocatori che stanno rendendo in modo costante.
De Falco era sembrato rinato nella prima frazione per poi crollare dopo l’ora di gioco, Casoli ed Angelo completamente involuti (tolti loro, chi deve portare velocità sulle fasce?), Sartore fumoso (sembra una questione genetica ormai, non può essere diverso da come è stato fatto, mai cresciuto dal punto di vista tattico, rimane la promessa mai mantenuta degli esordi). Ed a sopperire alla mancanza della qualità del gioco doveva essere la quantità agonistica dei “portaborracce”.
Ahinoi, sta mancando il lavoro sporco di Maimone ed Urso, il peso fisico di una difesa troppo spesso deconcentrata, l’utilizzo fuori ruolo di un Sernicola troppo leggero per arginare il lavoro degli esterni avversari.
Molto bene, invece, l’inserimento del nuovo acquisto Tiscione: sembra giocatore dai piedi buoni, bravo sul dribbling e sul cross, ambidestro decente che garantisce anche la botta da fuori che non ti aspetti.
Considerati limiti e pregi del centrocampo e della difesa quest’ultima potenzialmente fortissima, ma falcidiata da capitani a sorpresa spariti (Stendardo) ed infortuni pesanti, la quadratura va trovata davanti, dove Don Tano ha rimescolato le carte praticamente ad ogni gara, ma ad oggi, dopo sette mesi dal ritiro estivo, nessuno sa quale sia la soluzione aerodinamica per far coesistere gli esterni,con vere e false prime punte che siano.
Se riscorriamo i nomi dei titolari, facendo finta di essere all’inizio della stagione, le certezze c’erano quasi tutte: Golubovic (portierone), Stendardo De Franco e Mattera (tra le prime tre difese del campionato), Angelo Urso De Falco Casoli (un centrocampo da nomi pesantissimi); davanti invece l’enigma c’era e l’enigma è rimasto.
Resta, nell’immediato, da sfruttare senza esitazioni e scuse, le prossime giornate “facili” del calendario, sperando nella maturazione dell’ambiente, dagli spalti al prato verde passando per lo spogliatoio.
L’obiettivo è scalare la classifica con una macchina rinata tentando il sorpasso che non ti aspetti. Tutti uniti.
Good luck Matera and see you soon…
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