Oggi vi racconteremo una storia facendo un viaggio nel tempo di oltre sei secoli. Una storia che serve a capire gli errori commessi da un’intera città insegnandoci, proprio, il modo per non ripeterli. La storia è quella del Conte Giancarlo Tramontano, un abile spadaccino originario di Sant’Anastasia di Napoli, che nel 1497 ottenne il governo di Matera, ambitissima contea della Corona che dopo tanto tempo si ritrovò sotto il vincolo feudale. La decisione del sovrano Ferdinando II fu, in realtà, affidata al consenso del popolo che, dopo averla inizialmente respinta al mittente, ribaltò incredibilmente la decisione presa. Come mai? Il lesto e scaltro Giovan Carlo corruppe nobili e popolani attraverso promesse di ogni sorta e subito dopo essere stato acclamato dagli stessi materani corrotti, ben pensò di rimangiarsi la parola relegando il feudo tra gabelle, tasse, soprusi e povertà assoluta.
La tirannia, chiusasi con l’omicidio del conte, resse per 17 lunghissimi anni ed oggi la città conserva ancora il simbolo dell’arroganza di quel potere, il Castello appunto Tramontano, ma conserva nella memoria collettiva anche una parola, incisa nel nome di un vicolo adiacente al Duomo: RISCATTO.
Da questa parola, oggi, vogliamo ripartire, scusandoci, comunque, per aver scomodato tristi vicende storiche per discutere di disfatte sportive. Ma la citazione fatta, deve servire a farci riflettere sulle responsabilità di quanto successo sabato. Non sappiamo nè vogliamo credere che ci siano tiranni (moderni) nello spogliatoio, ma vogliamo decisamente comprendere il “come” si è arrivati al punto più basso della nostra stagione calcistica.
Ritenendo che sia superfluo, proprio, discutere del tema di questa rubrica (la tattica), spostiamo la nostra attenzione su quanto si è palesato in campo dal punto di vista dell’atteggiamento: può una gara del genere, dove non devi sbagliare nulla correndo, magari, come non hai corso mai, avere uomini in campo svogliati e deconcentrati? Può, una cornice di pubblico da massima serie, assistere ad un ammutinamento di gioco inspiegabile e senza basi?
Noi crediamo di no e senza crogiolarci dietro un 3-5-2 o dietro qualsivoglia diavoleria tattica, crediamo e riteniamo che quanto visto sabato sia ascrivibile solo ad un dissennato atteggiamento (quasi) collettivo. Ricaricate le batterie dopo la pausa natalizia, con due fortunose vittorie, è iniziata un’inspiegabile anarchia mentale che vede pezzi da novanta diventare brocchi, gregari isolati come lebbrosi (curiosamente sono due partite che Salandria, in fase di possesso palla, allarga con foga, ma invano, le braccia a cercare aiuto da compagni che, purtroppo per lui e per noi, non gli si avvicineranno mai) e la saggezza di Don Tano svanita in una fissazione spocchiosa. L’unica cosa chiara e certa è questa: la squadra non è più un collettivo, ma un’accozzaglia di personaggi che hanno obiettivi diversi l’un da l’altro, con volenterosi che ci provano a tratti ed altri che contano solo i minuti, che in tutto sono novanta, per poter passare all’uscita il badge aziendale di fine turno. Tutto quasi normale se fossi appollaiato a metà classifica senza più obiettivi, diverso, ma molto diverso, se sei (eri) la capolista con il miglior gioco del girone.
Inutile malignare, inutile arrabbiarsi, inutile consolarsi, solo il campo, che non mente mai, ci dirà chi siamo. La soluzione all’enigma (che, per gioco, lasciamo a voi lettori), è ne “Il giorno della Civetta” di Leonardo Sciascia:
“Io” proseguì don Mariano “ho una certa pratica del mondo; e quella che diciamo l’umanità, e ci riempiamo la bocca a dire umanità, bella parola piena di vento, la divido in CINQUE CATEGORIE: gli uomini, i mezz’uomini, gli ominicchi, i (con rispetto parlando) pigliainculo e i quaquaraquà. Pochissimi gli uomini; i mezz’uomini pochi, ché mi contenterei l’umanità si fermasse ai mezz’uomini. E invece no, scende ancora più in giù, agli ominicchi: che sono cioè i bambini che si credono grandi, scimmie che fanno le stesse mosse dei grandi. E ancora di più: i pigliainculo, che vanno diventando un esercito. E infine i quaquaraquà: che dovrebbero vivere come le anatre nelle pozzanghere, ché la loro vita non ha pià senso e più espressione di quella delle anatre.“
Confidando nella virtù degli uomini, attendiamo fiduciosi il pronto RISCATTO, perchè il bue stanco, segna più fermamente il passo.
Good luck Matera and see you soon..
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